Il tripartito di Riccardo Bruno Il 22 ottobre del 1978 a pochi mesi dalla sua morte, Ugo La Malfa si era incontrato all’ambasciata statunitense con il consulente speciale del presidente Carter, Zbigniev Brzezinski. La Malfa gli disse che tre partiti erano sicuri dal punto di vista occidentale: Dc, Pri, Psdi, mentre il Pci era “arretrato anche dal punto di vista internazionale”. Berlinguer alla festa dell’Unità di Genova era tornato a rivendicare l’esigenza di far uscire l’Italia dal capitalismo e insieme ad esaltare il valore fondante ed universale dell’opera di Lenin e della rivoluzione di ottobre. Anche il Psi, secondo La Malfa, rimaneva ambiguo, “perché non riusciva a creare un’alternativa” e la sua azione tesa ad indebolire il Pci, finiva con l’indebolire “anche la Dc”. In questo contesto politico particolarissimo, a pochi mesi dall’omicidio Moro, il leader repubblicano considerava “come un pericolo grave”, ogni ulteriore colpo inferto al partito democristiano. (Annali della Fondazione La Malfa, XVII Roma 2003, colloquio con Brzezinski e Gardner p 177). Quando ancora Giulio Andreotti nel febbraio del 1979 si riteneva ottimista “sulla possibilità di ricostruire la maggioranza di solidarietà nazionale”, (Idem, colloquio con Andreotti p 183), La Malfa già pensava alla struttura del prossimo governo con cui concludere la stagione della solidarietà nazionale. Il colloquio avuto con Claudio Signorile, alla fine di gennaio precedente, era stato gelido: La Malfa aveva detto all’esponente socialista che Psi e Pci dovevano raggiungere fra loro un accordo politico programmatico (idem, p 180). mentre lui ne tesseva uno con Dc e Psdi. Quello di La Malfa non era solo uno schema di governo, era anche uno schema elettorale per lasciare il centrosinistra, una prospettiva che alla Dc sarebbe andata stretta. La Malfa ne prese atto il 19 marzo del 1979, quando alla riunione dei tre partiti che dovevano formare il nuovo governo, constatò le assenze pesanti nella delegazione democristiana. Mancavano Zaccagnini e Piccoli. Donat Cattin spese parole per esaltare la nuova formula di governo, a comando, solo dopo che il leader repubblicano ne aveva sottolineato il valore politico, insieme al fastidio per il distacco mostrato dal partito di maggioranza relativa. (Ibidem p 180). Tempo 24 ore, il 20 marzo e La Malfa si convinse di come il suo tentativo avrebbe avuto vita breve: “Contavo con loro (Prodi e Ossola), Pandolfi e Visentini, di avere un forte schieramento al Consiglio dei Ministri. Ero rimasto solo”. (Ibidem p 192). Il governo tripartito senza di lui sarebbe sopravvissuto fino al 4 agosto, meno di 4 mesi. Deluso dalla Dc, deluso dai grandi partiti della sinistra, La Malfa concludeva la sua esperienza politica amaramente. Indicata una direzione politica, il Paese sarebbe andato presto in un’altra. La Democrazia cristiana avrebbe recuperato il rapporto politico con il Psi, la conflittualità fra socialisti e comunisti aumentò e i partiti laici, internazionalmente affidabili, sarebbero rimasti schiacciati in una morsa. L’occasione avuta da Spadolini nell’82, venne dispersa con l’esito alla crisi dell’Achille Lauro. Nei successivi dieci anni si assistette all’agonia di un sistema destinato ad implodere e nel modo peggiore. La Malfa non riuscì a realizzare una soluzione. Noi la cerchiamo ancora. Dagli ultimi appunti traspare la sua grande compostezza. Gli unici epiteti sono rivolti ad un esponente del suo stesso partito, che rifiutando di entrare nel governo lo aveva “pugnalato alle spalle” (Ibidem p 191), mostrandosi “un opportunista”. Bruno Visentini manterrà quel rapporto politico con la sinistra che La Malfa stesso aveva accantonato poco prima di morire. Visentini che nel 1994 si dimetterà dalla presidenza di un Pri in crisi, per candidarsi in altro partito. Roma, 27 marzo 2014 |